L’Alfabeto Ebraico
E’ uscito nel mese di Giugno 2011, dalla Casa
Editrice Morcelliana di Brescia, l’ultimo libro di Paolo De Benedetti, a cura
di Gabriella Caramore, “L’Alfabeto Ebraico”. Possiamo dire l’ultima “perla”,
di questa fattiva collaborazione, realizzata grazie alla trasmissione
radiofonica di Radio Tre “Uomini e Profeti”.
Scrive Gabriella Caramore nel risvolto di copertina
del libro: “In nessun’altra lingua, forse come nell’ebraico, un alfabeto è
così intriso di storia, di senso, di materia dell’uomo e di presenza di Dio. In
nessun’altra lingua il codice espressivo è così denso di carne e di sangue,
d’interrogazione filosofica e di pensiero teologico. Dio sul Monte Sinai si è
incarnato, se così si può dire, in una scrittura fatta con l’alfabeto.” E’
sorprendente che un argomento arido, come può essere quello di parlare e
discutere di o su un’alfabeto, parlare e discutere dell’alfabeto ebraico,
diventi invece un’avventura affascinante,
coinvolgente. Possiamo iniziare dicendo che l'alfabeto ebraico è composto da ventidue lettere (ventidue è il valore numerico della circonferenza, approssimata per leggero difetto, di un cerchio il cui diametro è sette, uno dei numeri-chiave della creazione). Ognuna di esse è uno strumento attraverso il quale un intero settore della creazione fu formato e fatto.[1] Nel libro è citato un bellissimo midrash, che troviamo in Bereshit Rabba' 1,10[2], secondo cui nasce una discussione (disputa), il testo dice, durata per ben ventisei generazioni, tra le lettere dell’alfabeto che chiedono al Santo benedetto egli sia, perché la creazione del mondo non è iniziata con una di loro. La prima lettera, la alef, è offesa, perché essendo la prima, e sarebbe stato giusto che il mondo iniziasse con lei. Il Santo benedetto egli sia, ha il suo bel da fare a convincerla, e infine la consola dicendole che quando darà
Osserva bene
Veniamo ora al collegamento che ha l’alfabeto ebraico con la mistica e la qabbalà che come dice l’Autore, sono anch’esse forme di esegesi. Secondo De Benedetti, la mistica ha avuto due momenti storici importanti: il primo millennio e il secondo millennio. Le speculazioni della mistica si dividono in due scuole, la prima delle quali “ Opera del bereshit”, cioè del “Principio” della Genesi, della creazione, in ebraico “ma ‘asè bereshit”, è detta mistica “discendente”. La seconda “opera del carro”, “ ma ‘asè merkavà”, che si rifà al primo capitolo di Ezechiele, è detta mistica “ascensionale”. Quando
E’ bellissima la pagina dove
Nel libro c’imbattiamo ancora una volta in uno degli argomenti più cari a De Benedetti, cioè la pluralità di sensi della Parola detta da Dio, i settanta sensi, questo perché la parola ha un senso che è rivolto ad ognuno di noi, in ogni generazione. Perciò afferma De Benedetti:”La verità è una solo in Dio. Io non posso pretendere, qualunque sia la mia autorità nella religione, che il significato della parola sia quello che dico io. Ce ne sono, ripeto, 70. E 70 è un numero multiplo di 7, corrispondente alla lettera ‘ajin, come vedremo poi, che indica quasi la totalità: “i 70 popoli della terra”, “le 70 lingue del mondo” e così via” (pp.55,56). Ma, aggiungo io, come ci ha sempre insegnato Paolo De Benedetti, esiste il settantunesimo senso, quello che può essere rivelato ad ognuno di noi e ad ogni uomo in tutte le generazioni, e come scrive Gianpaolo Anderlini[4]: “quello è il nostro senso, il volto di Dio che riusciamo a scoprire coi nostri occhi, con le nostre orecchie, e con le nostre mani tra gli spazi bianchi e le lettere nere del testo letto, interpretato e vissuto. E forse (ne sono certo), c’è anche un settantaduesimo senso, quello che non può essere disvelato qui ed ora a nessuno e da nessuno. E’ il senso che riusciremo a cogliere e ad intendere solo nel “’olam ha-ba’” il mondo a venire, quando al cospetto del Santo benedetto egli sia, potremo discutere con lui ed apprendere da lui, il Maestro che da sempre ci attende, quei sensi della Parola che la nostra miopia e la nostra limitatezza non ci hanno permesso di scoprire”. Perciò se nel Testo Sacro non c’è un unico senso, un senso definito, dobbiamo ringraziare Paolo De Benedetti, che come ha fatto con tutte le “perle” precedenti, anche con questo libro ci stimola a continuare la ricerca di quel “Settantunesimo” senso della scrittura, che ognuno di noi può trovare nello studio della Parola del Santo benedetto egli sia.
Luigi Rigazzi
[1] Breve spiegazione delle
ventidue lettere dell’alfabeto ebraico, www.cabala.org
[2] Aa.Vv., Bereshit Rabbà,
UTET, Torino,1978, pp, 34,36.
[3] Giulio Busi, Anania
Coen. Editore e letterato ebreo tra
Sette e Ottocento, Fattoadarte, Bologna, 1992.
[4]
Gianpaolo Anderlini, In Principio, Novellara, (RE), 15.12.010, p, 2.
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