lunedì 27 febbraio 2012

ARCANGELO BLANDINI


ARCANGELO BLANDINI

(Catania 31 ottobre 1899 – Catania 1 gennaio 1974)


Nacque il 31 ottobre 1899 a Catania, dove seguì gli studi e  si laureò in Lettere. Intorno  agli anni ‘20 Arcangelo Blandini frequenta l’ambiente letterario della sua città dove spiccano figure come Francesco Guglielmino e l’amico/nemico Nino Martoglio, (i due arrivarono anche al duello, che si concluse con ferite per entrambi e la riappacificazione solo molto dopo, quando il Martoglio sentì Guglielmino esclamare: “Ma quanto siamo imbecilli, potremmo intavolare una discussione e siamo qui zitti, come due cucchi"), Vitaliano Brancati, Giovanni Verga e Federico De Roberto. A proposito del rapporto che legò Blandini a Verga, Vanni Scheiwiller nella postfazione del libro “ Le zie di Leonardo” di Gonzalo Alvarez Garcia, (All’insegna del pesce d’oro, Milano 1985, p, 112), racconta che: “ A Catania, c’era un vecchio amico e autore di mio padre, l’umbratile e schivo Arcangelo Blandini, che ancora conservava il cappotto scuro con il segno della bara su una spalla fatto dall’acqua il giorno che pioveva a dirotto ai funerali di Giovanni Verga”.
All’inizio degli anni ’30 Blandini  si recò a Roma, dove aveva già  collaborato a diversi giornali e riviste,  quali il periodico “Quadrivio” ed il quotidiano “Il Tevere”, di cui divenne redattore capo della pagina culturale. Aveva già al suo attivo la pubblicazione di diverse poesie e articoli di critica letteraria. Nel 1932 Scheiwiller gli pubblicò il primo volumetto “Poesie”.
Non intendendo sottostare alla legge fascista che gli imponeva di prendere la tessera del partito, per continuare a collaborare con le varie testate letterarie, si ritirò dalla vita pubblica, si trasferì a Catania, e da quel momento si dedicò ai suoi studi e alla poesia. Evidenzia questo trauma personale, con mirabile eleganza Giuseppe Savoca, in Arcangelo Blandini, La sua poesia, il suo tempo, (Bonanno Editore, Acireale (CT), 2007, p, 43),  scrivendo: “ Questa parentela con la lezione e la poesia di Gugliemino si potrebbe (si dovrebbe) dimostrare sul terreno linguistico-tematico, mettendo in rilievo l’enorme presenza di elementi classici (dai personaggi mitici alle memorie storico-archeologiche, dalle piante alle <<elisie forme>>, dalle armonie di <<remoti canti>> vagheggiate dalla memoria al dolore-espresso in Ardui conforti – per l’abbattimento “ di Eleuteria / dai vili derisa>>: dov’è evidente il disprezzo di questo uomo mite, ma che pagò di persona allontanandosi dal << Quadrivio>> per la perdita di libertà imposta dal fascismo”.
 Amò molto Petrarca, Dante, Leopardi e Baudelaire. Nel 1960, per iniziativa di Luciano Anceschi, fu pubblicata a Brescia una scelta di sue poesie inedite, dal titolo “Deserto e Apparenze” (ed. La Nuova Cartografia), con lo pseudomino di Amelio Dini (Amelio, il filosofo solitario di Leopardi).
Il ritratto  più bello di Arcangelo Blandini è quello che gli dedica Vitaliano Brancati nel 1961 nel “ Diario Romano” (Bompiani, Milano, 1961, pp. 210, 211) scrivendo: “ Non so quanti intellettuali possegga l’Europa, che abbiano la purità di A. B. (Arcangelo Blandini): se fossi un grande poeta, mi basterebbe, per cinquant’anni, di venir letto soltanto da lui. La sua ripugnanza alla pubblicità, ai complimenti dei lettori e dei critici, l’ha fatto vivere per anni rintanato in una casetta di Catania, fra vecchi alberi, cespugli incolti e rustiche terrazze attraversate da gatti: questa ripugnanza gli è talmente incarnata nei nervi che egli sente un direttore di giornale o un editore come un ermellino sente il cacciatore armato. Qualunque persona è in grado di fargli passare una penosa notte proponendogli la pubblicazione dei pochi versi che egli ha scritto in tutta la sua vita. Questi versi, io li conosco in parte, e non voglio giudicarli… ma come non dire che egli possiede un po’ di quel <soavissimo olio> del quale sono unti i versi del Petrarca e del Leopardi?. ( So  che,  pubblicando queste mie parole, perdo la sua amicizia; ma non è la prima volta che, fra un amico e la verità, scelgo la verità). Sotto il regime fascista, egli visse in disparte, accordando, non so in quale modo, la dolcezza estrema del suo carattere e l’odio per le cose che gli stavano attorno; e poiché per rendere taluni contrasti le espressioni più serie sono i giuochi di parole, dirò che egli si amareggiò sino al limite della sopportazione, ma non finì mai di essere il più dolce uomo di questa terra. Trascorreva intere giornate sdraiato sul letto, con un libro sulle ginocchia,  e riconosceva nel vento che aveva cambiato direzione la nuvola ch’era passata poco avanti, e ora tornava a passare. E’ superfluo dire che il suo nome non è registrato nell’elenco degli iscritti al fascio né fra i componenti le accademie. E nondimeno, caduto il fascismo, quando insieme ai coraggiosi, molti stupidi e molti inetti alzarono la voce, egli abbassò la sua a tal punto che un mio caro amico di settant’anni (Francesco Guglielmino), leggermente sordo dall’orecchio destro, mi domandò un giorno rannuvolato se Blandini non parlasse così piano per scoraggiare lui dal venire a quel caffè”.
Come scrive Rosa Marita Monastra nell’introduzione ad “ Arcangelo Blandini, la sua poesia, il suo tempo”, op, cit, p, 9), egli fu un poeta classico e moderno. Finalmente, dopo anni d’oblio, anche a causa del  carattere misantropo e umbratile come lo definì lo Scheiwiller, o come lo ricorda mio fratello Arcangelo: “…che poeta dolce, tenero e per quanto l'abbia conosciuto io, nelle brevi ore passate assieme a lui, per nulla "umbratile", ma disposto all'ascolto di uno studentello di 2^ liceo classico, qual'ero io allora, quasi pendesse dalle mie labbra! Figura sublime, dolce, amante di quelle "frasche" del suo giardino  botanico, tanto da avere parole tenere e poetiche per ogni alberello e che nel descrivere una antica sequoia attorcigliata, ho sentito da lui le parole più belle e dolci mai ascoltate da altri nel descrivere una semplice pianta contorta!”.
La critica letteraria, ha iniziato a considerarlo uno fra i più importanti poeti siciliani (italiani) del novecento, a cavallo fra le due guerre, accostando la sua poesia a quella di Gozzano, Ungaretti, Saba, Montale e Quasimodo, (Giuseppe Savoca, op, cit, p, 44).


                                                                               Luigi Rigazzi

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